Dopo Slowfood, e abbracciandone il concetto, mi piacerebbe contribuire a fondare Slowphoto.

Un gruppo di cultori della fotografia intesa nel senso più vero e artistico della disciplina.

Richiamo evidente al gusto dell’attesa, al saper assaporare ogni momento sino in fondo.

E all’inalterabiltà dello scatto originale. Alla sua “sacralità” aggiungerei.

Di recente una giovane cliente mi ha consegnato due rulli Kodak da sviluppare e stampare.

Tornata ben 48 ore dopo per il ritiro, sfogliando le stampe esprimeva diverse delusioni: “ohoo questa è scura, questa anche, ohoo quest’altra è sfocata…” così finché una dilungata esclamazione di gioia per una sola fotografia non le ha letteralmente illuminato il viso: “beeella questaaa…”.

Una sola fotografia le ha dato un’emozione che ha ridestato in me sensazioni sopite.

Questo semplice aneddoto ha suscitato una riflessione: il rivedere istantaneamente il momento appena vissuto evidentemente non collima con il significato etimologico, semantico e fisiologico del verbo ricordare. Un ricordo è tale solo se rivissuto dopo un lasso di tempo esponenzialmente superiore alla lunghezza d’onda delle emozioni provate.

Anzi, è proprio la prerogativa di ricordare a lungo o dopo molto tempo un particolare vissuto, a determinare il valore intrinseco di quel momento.

Teoria che può apparire strampalata, ma che trova fondamento nella realtà, nella pratica, nell’empirismo.

Insomma c’è un tempo per vivere il momento e un altro per ricordarlo, per riviverlo.

Rivedere istantaneamente implica tra l’altro, perdere bloccare alterare amputare la consecutio temporum naturale del momento.

E probabilmente perdere per sempre l’attimo immediatamente successivo di vita reale.

Ritengo occorra necessariamente ridare tempo al tempo se vogliamo gustare e goderci la vita sino in fondo.

Se vogliamo ri-emozionarci.

giuseppe tricarico